Qualche pomeriggio fa...
Nell'aria un odore pungente di incenso, di veglia funebre.
Un funerale stava per essere celebrato sul serio, di lì a poco, ma diverse vie più giù di quella in cui mi trovavo.
Svoltai l'angolo e osservai la gente che si apprestava ad andar lì, ancora una volta stupiti di come la morte colpisca senza chieder conto a nessuno.
Proprio lì di fronte, ancora parcheggiata nello stesso posto, l'Alfa Romeo nera di Angelo, anche lui morto d'infarto solo una settimana prima. E poi Claudio impiccato al soffitto di un capannone. Ed il vecchio in bicicletta di cui non ricordo il nome.
E la giovane Selene fulminata di fronte alla figlioletta, improvvisamente, da un'aneurisma cerebrale.
Quanta morte si è aggirata fra queste vie in appena dieci giorni.
Martedì 10 dicembre, ore 8:17.
Ci penso ancora mentre calpesto un suolo fradicio di pioggia, scuro, scivoloso. Ho le scarpe già pregne d'acqua, sento il freddo salirmi addosso da lì. L'ombrello non fa miracoli ed io sono un pulcino bagnato ancora troppo distante da casa. Mi sono allontanata parecchio, come sempre, e la strada diventa via via meno accogliente. Eppure sto bene. Questa pioggia non mi deprime, non mi abbatte, non mi fa sentire abbandonata e sola in mezzo al mondo come mi capitava da bambina.
Ho passato anni a sentirmi in quel modo lì, come se la pioggia potesse togliermi la protezione di qualcuno o di qualcosa. Espormi ai mali della terra.
Ora mi sento tranquilla, serena. Convinta di potermi proteggere anche da me.
E a trentanove anni forse era anche ora.
Rientro in casa completamente zuppa. Resto sull'uscio e mi spoglio lì per non sporcare in giro.
E mentre lo faccio, con la difficoltà di articolare le mani ghiacciate, mi viene da ridere.
Una risata di pancia, di quelle che fanno bene, che ti fanno scordare le piccole grandi avversità della vita.