Un cielo grigio che minaccia pioggia. Un vento aguzzo che falcia le facce.
Ripenso appena a ieri, alle margherite sotto i miei piedi, ad un prato verde che invogliava a correre, a nuvole di ovatta che decoravano il cielo.
Alle risa di mio fratello, ai dolci che abbiamo assaporato insieme, alle piante di mimosa lungo le strade, alla lunga camminata dopo pranzo su per salite e poi per discese che conosciamo come le nostre tasche.
Ho raccolto violette selvatiche che ho poi regalato a mia madre.
Le ho lavato i capelli come faceva lei con me quando ero appena una bambina.
Ricordo che imparai a lavarmeli da sola un giorno che non le andava di farlo. Non volevo aspettare i suoi comodi e allora feci da me. Magari non venne subito un buon lavoro, forse asciugai chiome dove c'erano ancora pezzi di shampoo che non s'era sciolto, tuttavia presi quello spazio per me e da allora non me li toccò più. Ieri l'ho fatto io con lei, per la prima volta, provando un senso di tenerezza che non mi aspettavo.
I nostri genitori invecchiano, ce ne dobbiamo occupare di più.
La distanza, da parte mia, è un ostacolo di un certo peso. Ma quando siamo insieme, quando passiamo quelle poche ore dentro le stesse stanze, li vedo rifiorire come rose a cui viene finalmente offerto da bere.
Quando riparto e me ne torno a casa, in mezzo al traffico di un'autostrada e poi di un raccordo pieno di autovetture di ogni tipo, osservo l'asfalto e rivivo col pensiero ogni secondo, ogni parola, ogni profumo.
Conscia, in ogni caso, che in quel mondo che m'apparteneva fino a una decina di anni fa, ad oggi non tornerei.