giovedì 10 luglio 2025

Brezza



Una brezza leggera dopo giorni di calura.
L'abitino rosso che mi svolazzava addosso.
I capelli ricci sciolti lungo la schiena.
Un paio di occhiali da sole neri calati sugli occhi.
La solita musica che usciva dentro le cuffiette.
Un mare mosso ma non agitato, increspato appena da quel vento tiepido.

Stamattina ero serena.
E così quando sono piombata nello stabilimento di Simone ero il solito raggio di sole cui è abituato.
Cercavo suo padre ma non c'era. Quest'anno non lo incontro mai. Mi manca.
Ho acquistato una bottiglietta d'acqua. L'ho bevuta in piedi mentre lui sistemava gli ombrelloni.
Abbiamo riso e scherzato un po' insieme ad un signore che pazientemente spazzava via la sabbia dalle passerelle colorate.
Bianco. Azzurro. Azzurro. Bianco.
Tutto così bello, pulito e armonioso da lasciarmi stampato addosso un sorriso di pace.

Appena dieci giorni fa fu lo stesso Simone a soccorrermi quando mi sono sentita male.
Stavo per svenire per la calura, l'abbassarsi della pressione, i chilometri percorsi, anche una leggera disidratazione.
Se ne è accorto, si è preso cura di me. 
Non lo dissi al mio compagno. Neanche a mia madre o a chiunque altro.
Non volevo preoccuparli. Non volevo che su quel tempo libero del mattino che amo visceralmente calasse il peso di un'ansia indigesta.
Era accaduto ma era anche passato.
I giorni successivi sono stata meno avventata e tutto si era risolto.
Quel caldo accecante aveva reso difficile ogni cosa e questi tre giorni di tregua hanno immesso nuova linfa lì dove s'era persa. 
Però è nelle difficoltà che si vedono gli amici, le persone di cui ti puoi fidare, quelle a cui puoi volere davvero bene. Simone e suo padre li ho conosciuti l'anno scorso ma ho come la sensazione di conoscerli da sempre, di esser sempre stata nelle loro vite, e loro nella mia.
Non si può non volergli bene, semplicemente non si può.

martedì 8 luglio 2025

Lumache

 

C'è questo vizio, di alcune donne, di soppesarti con lo sguardo.
Tu ti avvicini sorridente per salutare, chiedere come stanno. E loro ti osservano attentamente le gambe nude, il viso, l'addome, le ossa esposte delle clavicole. Indisturbate.
Non gli interessa metterti a disagio. Non gli hanno insegnato che così non si fa.
Ti squadrano dalla testa ai piedi, incuranti, con i loro sorrisi forzati, finti.
E allora te ne vai, saluti cordiale come se nulla fosse accaduto, ma dentro avverti una profonda sensazione  di disagio, il passaggio di una lumaca viscida sulla pelle.
Torni a casa, ti spogli, fai una doccia che lavi via il disgusto di quel momento.
Ma non accade, non te lo levi di dosso. Puoi sfregare quanto vuoi, usare la spugna fino a sfilacciarla.
Il bianco candido della pelle cambia colore, adesso è di un rosso acceso.
E quella sensazione è ancora lì.

Quante volte hai già vissuto questo momento?
Da quante persone ti sei ritratta nel tempo?

Puoi capire la voglia di un uomo che ti osserva, che ti spoglia con gli occhi.
Il desiderio lo riconosci, lo comprendi, non lo giudichi.
Ma quegli occhi femminili ti sembrano coltelli che ti si conficcano al fianco.
E se stupidamente ti confidi con qualcuno ti rispondono sempre le stesse frasette arrugginite. "E' invidia, lasciale perdere. Sei una bella ragazza, curata, attenta alla linea. Loro no."
Ma cosa c'è da invidiare? tutta la mia vita è una corsa, non riesco a star seduta neanche al momento del pranzo. Mangio solo cibi puliti, non fumo, non bevo, non assumo strane sostanze, faccio sport ogni giorno, ho una vita attiva 365 giorni l'anno, non mi fermo neanche in ferie. E non ho avuto figli. Al netto di tutto credo che anche questo conti.

Respiri. Ti sei sfogata.
Chiudi gli occhi. Li riapri. Quelle due donne non esistono più.

venerdì 4 luglio 2025

CountDown

 

Sto per compiere quarant'anni, mancano poco più di quindici giorni.
Il mio compagno mi fa il countdown ogni sera.
Magari in quel momento non ci penso, stressata e stanca come sono dopo una giornata di corse, calura, gente, lavoro e quant'altro e lui invece boom. Me lo fa tornare in mente.
Non so cosa si aspetti che io gli dica, quando lo fa. Non so perché ci tenga tanto a farmi balenare questo pensiero nella testa.
So solo che non è piacevole e che ne farei volentieri a meno.
Se tante volte scrivo che vorrei scappare, è giusto far notare che in questi giorni l'idea della fuga si palesa sempre più di frequente e che è solo quest'afa immonda a tenermi buona.
Sono talmente giù di corda, fisicamente, che non potrei organizzare neanche una gita di tre ore, figuriamoci un'idea strana ed insensata come questa. 
Che io ci pensi alla soglia dei quarant'anni mi fa capire che non sono ancora il frutto maturo che avrei pensato. Che sono ancora una ragazzina lunatica, dominata dalle zone meno razionali di me. Attraversata da un nugolo di pensieri irresponsabili mentre conduco la mia vita responsabilmente.
E poi, andare dove? 
Dov'è che potrei lasciare me stessa, sotto quale albero in ombra potrei farla dormire?
Questo caldo opprimente mi fa venir voglia di sdraiarmi nuda sul letto, la pelle a sentir solo il fresco delle  lenzuola. Sola, solissima. Che non voglio ascoltare neanche le solite grida demoniache del bambino di sotto.
Starmene lì a pancia in giù, con la faccia riversa sul cuscino, un buio nero come pece tutt'intorno e nessun pensiero nella stanza. Tenerli fuori, maledirmi, scacciarli come zanzare moleste.
E non alzarmi fin quando la pace non mi sarà entrata dentro di nuovo, finché non si sarà scavata un tunnel potentissimo con il quale riprendere a fronteggiare la vita. In qualche modo.

martedì 1 luglio 2025

Fantasmi

 

Non scrivo da oltre due settimane. 
Eppure di vita ne ho attraversata, tanto da sembrarmi più di due.
Il caldo torrido qui continua a ricoprire ogni cosa, sembra di essere sempre in apnea, con i sensi spenti, atrofizzati, persi in luoghi che non si riesce a riconoscere.
Si viaggia coi fari spenti in mezzo alla foschia, a volte si incontrano altri fari lungo la strada ma non c'è sicurezza su chi sia al volante. Siamo sagome scure, fantasmi dai contorni disomogenei. 

Fantasmi sono anche quelli che talvolta ci vengono a trovare.
Camminiamo tranquilli sulla nostra via ed eccoli arrivare da qualche parte, lungo il sentiero.
Sentiamo le loro voci. Guardiamo quello che un tempo abbiamo fatto insieme. Le emozioni che abbiamo condiviso. La loro pelle, il calore, quelle piccole particolarità che notavamo così bene.
Persone che non fanno più parte della nostra vita. Se ne sono andate. O ce ne siamo andati. Vivono altrove, presso altre esistenze che non ci coinvolgono.
Eppure in un certo senso sono ancora qui. Come vecchie foto in un cassetto basta un alito di vento a farle scivolare via. A riempire stanze intere. A ricoprire i pensieri, le parole, le sensazioni.
Non se ne vanno mai, in fondo.
E noi, noi ce ne siamo davvero andati dalle loro vite? O siamo ancora presenti, siamo ancora carne viva, siamo ancora risate, sofferenze, urla?
Un'emozione si può assopire, si può anche buttare via da qualche parte, come carta straccia. Ma se era autentica resiste nel tempo, ci accompagna in quei luoghi in cui non siamo stati mai. E' parte di noi, della nostra storia. La sentiamo nelle vene, scorrerci fino in fondo insieme al sangue.
Ho dei fantasmi particolarmente resistenti. Ma devo dire che spero non m'abbandonino mai.

domenica 22 giugno 2025

Corpi

 

Ieri sera m'ha punto un'ape. 
Bruciava un tramonto incendiario oltre il terrazzo, dietro le case, sopra la gru che costeggia la scuola in costruzione. A poco a poco il sole scendeva e scaldava il cielo, morendo in un calore d'inferno a cui stentiamo ad abituarci.
Il lavoro era finito da appena mezz'ora. La cena era durata un lampo, lì da sola, in cucina, scalza e poco vestita. Aspettavo la doccia, stavo per farla. E quell'ape attendeva che la liberassi dalla trappola in cui s'era cacciata, per poi morirmi addosso.
Il dolore cresceva sotto l'acqua calda, stilettate bollenti mi falciavano la pelle. In quella zona tra il seno ed il collo, in cui m'aveva punto, non si poteva neanche passar la spugna. 

Mi guardavo il corpo nudo nei camerini, oggi.
Stentavo a riconoscerlo.
Ero io, quella ragazzetta? O era un'altra che stavo guardando da fuori?
Ma no, quei capelli ricci perennemente spettinati erano sicuramente i miei. E allora era mio anche tutto il resto. Le ossa esposte delle costole, il lungo graffio rosso sulle vertebre, il culetto tondo nel perizoma, quelle gambe bianche che non m'erano mai piaciute.
Mi sono sentita piccola e fragile, chissà perché. E quella puntura addosso svettava dolorante, chiedendomi di estrarre finalmente quel pungiglione che non mi dava tregua.
Talvolta, come oggi, vivo ancora momenti in cui la percezione del mio corpo è così vaga da far spavento. Ne seguo i contorni con gli occhi, più e più volte, con la difficoltà atavica di chi non si riconosce. Ed ho l'atteggiamento tipico di chi, da fuori, viene definito un essere superbo e vanitoso. Il tutto mentre cerco semplicemente di capire dentro quale cornice sto vivendo. Quali siano i miei confini, i miei orizzonti, i limiti della mia pelle. Quale sia davvero la casa della mia anima.

Ho comprato qualcosa dopo diversi mesi, avevo bisogno di fare quello che le donne fanno, a volte, quando si vogliono distrarre. Prender cura di sé. Accarezzare.
Un paio di jeans attillati color vino. 
Una canotta dello stesso colore.
Dei pantaloncini di jeans.
C'era gente, troppa. Ce ne siamo andati poco più di un'ora dopo. Abbiamo pranzato in giro, velocemente. 
Durante il viaggio di ritorno ho cercato di imparare una canzone nuova. E ho pensato a mia madre, a mia suocera, a mio fratello, al lavoro di domani, alla guerra, i missili, le bombe nucleari, alla mia vita in generale. La macchina che correva veloce ed io che ormai desideravo solo un caffè.
Oltre i pensieri, un silenzio bellissimo dentro cui rotolarsi. 

lunedì 16 giugno 2025

Coltre

 

L'umidità cala come una coltre sopra ogni cosa.
Ci travolge, non ci fa tirare il fiato.
Se il caldo, qui, non venisse aggravato da questa cappa umida forse potremmo vivere decentemente. Forse. Ma questa è una visione d'inferno.
E allora ci aggiriamo come zombie nelle vie, inerti e inermi, cercando un approdo momentaneo.

Al mattino esco prestissimo ma non c'è aria respirabile.
E allora anche fare sport diventa un lavoro come tutti gli altri, non c'è più quella gioia serena, quel vagare appagante. Siamo ombre irriconoscibili di noi stessi.

Sono stata da mia madre ieri. E' tornata a casa dopo oltre un mese d'ospedale e per la prima volta dopo l'operazione ho potuto vedere la grande cicatrice che ha addosso e che non l'abbandonerà più. Un pezzo di storia, la pagina di un libro, un capitolo che non verrà dimenticato.
Ha dolore, non si muove bene, tutto è diventato complicato.
E in casa c'è sempre un clima estremamente pesante, una coltre che somiglia a quella descritta pocanzi e che ricopre l'umore di tutti, lo riveste come un cappotto di fustagno. 
Le mie ferie non inizieranno prima di due mesi ma il pensiero di passare qualche giorno lì, stavolta, non mi fa stare bene. Mi opprime. 
Anche in passato ho provato questa sensazione ma solo ora riesco a darle un nome, una forma, una rilevanza di cui non voglio provare vergogna. Anche i sentimenti negativi possono, e anzi dovrebbero, essere espressi.

Ieri ricorrevano due anniversari speciali. 
In primis il compleanno del mio compagno. In secundis, ho festeggiato mentalmente dodici anni dal mio trasferimento qui in zona di mare. 
E mai come ieri, mentre ero in casa con la mia famiglia e il nodo in gola si allargava a macchia d'olio, mi sono resa conto di quanto proprio quel trasferimento mi abbia salvata.
Se avessi continuato a viver lì non sarei mai diventata la persona che sono. Che non sono niente di che, figuriamoci, però sono me stessa. Lì dentro sarei perita a poco a poco, dentro il guscio esterno di questa personcina non sarebbe rimasta che amarezza.
Si può volere un mondo di bene alla propria famiglia eppure avere il bisogno di starle lontano per respirare a pieni polmoni. E' tutto molto disfunzionale lì dentro e porre una distanza geografica tra me e ciò che è racchiuso fra quelle pareti è stata la scelta migliore che potessi fare.

giovedì 5 giugno 2025

Pelle



Avevo voglia di scrivere.
A volte succede di avvertirne un'impellente necessità.
Non ho niente di serio da raccontare, in realtà, solo piccole stramberie della mia vita che procede con il solito silenzio e il solito chiasso di sempre.
Poche ore fa ero fuori dal bar che frequento al mattino prima di correre al mare. Dentro c'erano il proprietario e due avventori abituali. Mi sono avvicinata all'uscio, li ho visti osservarmi attraverso le vetrate. Uno di loro ha detto "eccola, la più bella ragazza di X."
Mi guardavano, parlavano di me. Allora ho atteso un po' sulla porta, quasi intimorita da quel commento, ma poi sono entrata, sicura, con un ampio sorriso sulla faccia. E in quel momento si, mi sono sentita bella sul serio. 
Mi piace quel posto, ci sono persone gentili, non invadenti, adulte. Non è un bar di ragazzini, non è un bar di vecchi. E' un bar di gente normale, tranquilla, almeno a quell'ora.
Un caffè veloce, in piedi. Due chiacchiere altrettanto repentine. E poi corro via, non mi si acciuffa mai. Il mare che pian piano inizia ad accogliere gente che fino a dieci giorni fa non c'era. Le spiagge che cominciano a colorarsi di ombrelloni. Io che faccio quello che faccio in qualunque altra stagione dell'anno, con o senza queste persone. Correre, camminare, ascoltare musica, pensare, macinare chilometri, bermi tutto il sole e tutto il mare. Poi torno a casa, sudatissima, una doccia, la vita che si dipana davanti ai miei occhi e che acciuffo senza sedermi mai, in una continua corsa che è la mia vita stessa, credo.

Ho programmato una visita medica per la fine della prossima settimana.
L'orario non è dei più congeniali ma è necessario che venga fatta al più presto.
Maggio è stato un mese complicato, che si è riversato sul mio corpo e sul mio tessuto ormonale come lava incandescente. Ne sono uscita bruciata, letteralmente. 
Ed ora pian piano cerco di toglier via quella pelle rovinata. Soffio gentile sulle nuove cellule candide, provo a riprendere il cammino con una maggiore serenità.