giovedì 25 aprile 2024

Assodato



La natura si stagliava silenziosa davanti ai miei occhi ed io ero lì, sola ma in compagnia di pensieri rumorosissimi, a gustarne la bellezza con gli occhi, il respiro, la pelle.
Avevo freddo ma anziché procedere con la mia solita andatura veloce, avanzavo lenta.
Non era una gara, un gioco, una voglia di sudore sulla schiena.
Era pace, meditazione, raccoglimento.
Era soprattutto solitudine.
E sebbene l'avessi cercata io stessa, in quel momento me la sentivo pesare addosso come se sulla schiena tenessi uno zaino pieno zeppo di pietre.
E allora arrancavo, anche se da fuori sembravo la solita me di sempre.
Eretta con la schiena, graziosa, una persona tranquilla.

Ma la tranquillità sembra avermi lasciato da un pezzo, forse non ero la compagnia che s'aspettava, forse non avevo abbastanza charme per tenerla con me.
Però c'erano nuvole splendide che disegnavano il cielo con cura, come farebbe un pittore quotato.
E poi c'erano i fiori. Il profumo dei boccioli. L'ombra delle folte piante. La strada stretta e semideserta. 
Ogni tanto mi accostavo ai lembi per far passare rare automobili che sembravano quasi essersi perse.
Che io mi sia persa, invece, è cosa certa.
Non c'è un quasi da mettermi accanto.
Temo che sia irrimediabilmente assodato.

lunedì 22 aprile 2024

Certezze Scomode



Mia madre piangeva al telefono ed io non sapevo come arrestare quel fiume di dolore e frustrazione che le usciva dagli occhi. Mentre cercavo di placarla, comprendendo quello sfogo, pensavo che mi sarebbe piaciuto un giorno fare altrettanto.
Portarla da qualche parte e raccontarle anche i miei, di crucci.
Quelli che nel tempo ho dovuto scavare più a fondo dentro di me, fin quasi a renderli invisibili.
Macerie ricoperte da un muro nuovo. Polvere sotto i tappeti.
Ho provato tenerezza, ma anche un senso di smarrimento.
In quel momento lei aveva bisogno di me ed io non c'ero. Non ci sono mai se non in quelle poche chiacchiere del mattino che lei aspetta con trepidazione.
Mi sa che non sono un granché come figlia. Ed ho fatto bene a non diventare madre, perché non sarei stata un granché neanche con un pargolo in braccio.
Esistono persone con gli occhi così rivolti verso sé stessi da non saper guardare gli altri se non in superficie. E a volte temo di essere una di quelle persone. Altre invece ne ho l'assoluta certezza.

martedì 16 aprile 2024

Ferite

 


Tocco la pelle lesa sul gomito.
Brucia.
Ma bruciava anche prima che la toccassi.
Una porzione di pelle non c'è più, tranciata di netto.
Al suo posto c'è una grossa macchia rossa, dolorante, sanguinolenta. E accanto alla macchia c'è altra pelle scorticata, ruvida.
Sospiro.
Mi sono fatta male. Di nuovo.

Non so cosa ci sia di sbagliato in me, ma non conosco nessun adulto che si faccia male così spesso come capita a me.
Non c'è settimana, e spesso non c'è giorno, senza che accidentalmente mi sia provocata un guaio.

Solo per citare alcuni degli incidenti capitati negli ultimi mesi...
- Il dito rimasto schiacciato all'interno del portone blindato. Mi accascio a terra, il dolore è così forte che sto per svenire. Non so come riesco a venir su, a camminare fino al posto di lavoro. Resto due ore e mezza con le vertigini, la nausea, la mano che non si chiude, il sangue pesto sul retro. I giorni seguenti è un delirio.
- Urto un cassetto di plastica nel frigo. Poco dopo mi accorgo del sangue che scorre. Scioccamente non penso al disinfettante, sciacquo velocemente e via. La ferita si infetta, per giorni è così brutta che devo tenerla fuori dagli sguardi della gente. A nulla sono valse, poi, le creme cicatrizzanti. E' ancora lì, ben visibile sulla mano.
- E dunque lo sportello della cucina. Il dolore sulla palpebra fissa dell'occhio. Il bernoccolo. Le lacrime che uscivano copiose, senza che potessi controllarle. 
-  Con la solita insensata frenesia sbatto il naso sull'armadio. Boom. Il dolore penetra il cervello, mi sembra di impazzire. Il setto nasale si devia. Per mesi riesco a respirare correttamente solo da una narice e l'altra è perennemente tappata. A volte penso che lo resterà per sempre.

Mi rendo conto di vivere in questo modo.
Tra una ferita da curare e l'arrivo della successiva.

martedì 9 aprile 2024

Giorni

 

Aprile è iniziato da nove giorni ed io non sono mai riuscita a scrivere qualcosa su queste pagine.
Eppure ci ho provato, più volte.
Oserei dire: ripetutamente.
Avrei voluto raccontare di quei due giorni di festa in cui non ho fatto nulla di speciale ma che, in realtà, speciali lo sono stati moltissimo.
Volevo dirvi che per la prima volta dopo tanti anni ho gustato sia il cioccolato che una buona colomba artigianale senza alzarmi da tavola e fuggire.
E dunque la natura, le persone care, il caffè sulla piazza del luogo natio, il vento incessante, i fiori coloratissimi che ora riempiono il mio terrazzo.
Persino la vipera che ho fotografato e da cui mi sono lasciata affascinare senza pensare al fatto che avrebbe potuto mordermi.
Poi questa domenica una gita di qualche ora presso una cittadella medievale ad un'ora da qui, un pranzo di carne in un bel posto, un po' di sana spensieratezza sotto un bel sole.

Attimi che ho vissuto un po' come si fa dentro un sogno, in quella sorta di dormiveglia purissimo che un po' è realtà, un po' sembra fantasia.
Però è stato tutto così dolce e delicato che mi ha permesso di mettere in standby tutto il resto, che pure ho vissuto sempre senza risparmiarmi mai, ma quantomeno riuscendo ad avvertirne meno il peso.
E poi c'è questa primavera che ogni anno mi sorprende con la sua bellezza e che mi riempie, mi entra dentro come aria nuova che getta via le vecchie scorie e finalmente mi purifica.
Allora sembra di avere occhi nuovi, nuove mani, nuove ali spuntare sulla schiena.

giovedì 28 marzo 2024

Quel pomeriggio



Quel pomeriggio mio padre ed io abbiamo bevuto un caffè insieme.
Il bar sulla piazzetta era intimo e raccolto, persino un po' buio, però mi piacque subito. 
Era zeppo di posti a sedere ma rimanemmo in piedi, a ridosso del bancone, a conversare col gestore, un uomo che non avevamo mai visto e che probabilmente non rivedremo più.
Io lo bevvi lentamente, come sempre, accarezzando la tazzina con le dita, socchiudendo gli occhi per meglio assaporarne il gusto amaro e deciso. Lui invece fu fin troppo sbrigativo.
Il tempo di girarmi ed  aveva già pagato. Ci tenevo a farlo io, gli ho fatto notare che non me ne aveva neanche dato il tempo. Ma lui rispose che era troppo bello offrire qualcosa a sua figlia, che non succedeva mai. 
Ed è vero. Non capita mai di poter fare una cosa così semplice insieme.
Sempre distanti, sempre fisicamente lontani.

Ed era un momento terribile quello lì, di lì a poco avrebbero trasportato la salma di mio zio. 
Era terribile eppure quella consumazione insieme, così breve ma così intensa, mi sembrò  meravigliosa. Andammo in bagno a turno, salutammo l'uomo e quando uscimmo il grosso Mercedes arrivò. Avevamo appena fatto in tempo.

Di mio zio mi è stata consegnata una foto, solo pochi giorni fa.
Avevo forse meno di due anni, gli ero seduta in grembo, mi osservava mangiare. Sorrideva.
Mi amava già.

Ho un cliente che fisicamente gli assomiglia anche se me ne sono resa conto solo di recente. Provai per lui una simpatia istantanea, di pelle. Un suo amico che conosco da anni lo definisce, geloso che non valga lo stesso per lui, "il mio preferito". Che è un termine improprio, in fondo, ma che ben descrive quanto semplice sia, per uno spettatore esterno, accorgersi di certe simpatie. 
Hanno le stesse mani grandi. La stessa attaccatura di capelli scuri. Una montatura simile di occhiali. Persino la stessa altezza, una simile andatura, quel medesimo sorriso aperto e coinvolgente.
Tonino è più giovane di mio zio, somiglia a quello che lui era qualche anno fa, forse quando ero adolescente o poco più tardi. 
Non penso di dirglielo, che senso avrebbe? è meglio che pensi che mi va a genio per come si presenta, non per chi mi ricorda. A nessuno piace essere la pallida copia di qualcuno che non c'è più.

giovedì 21 marzo 2024

Hikmet

 



Giornata Mondiale della Poesia.
A tutti quelli che non sanno viver senza, come me, oggi dedico questi versi meravigliosi di Nazim Hikmet, autore turco che amo molto e che tengo sul mio comodino da anni.
Apro, leggo, sfoglio, sogno, imparo.


Non vivere su questa terra
come un estraneo
e come un vagabondo sognatore.
Vivi in questo mondo
come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare,
ma prima di tutto credi all’uomo.
Ama le nuvole, le macchine, i libri,
ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che secca,
dell’astro che si spegne,
dell’animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza
e il dolore dell’uomo.
Ti diano gioia
tutti i beni della terra:
l’ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto, a piene mani,
ti dia gioia l’uomo!


venerdì 15 marzo 2024

Easy



C'è un'aria più leggera in questi giorni, più sottile.
Un'aria che anticipa la primavera in arrivo.
Un cielo azzurro che si vela appena, i gerani che sbocciano tutti insieme, le vie ricolme di limoni maturi, pronti per essere raccolti. Qualche bocciolo di ciliegio che fiorisce già.
Non fa caldo, non fa freddo. E' il paradiso. 
E io respiro ogni attimo che trascorro da sola, in mezzo alla natura, come un inno di gioia e di spensieratezza. La mia ricarica, la mia ripresa, la mia meditazione, la mia unica forma di spiritualità.

Ho conosciuto delle persone negli ultimi mesi.
Mi sono affezionata. 
Scherziamo, ridiamo, facciamo due chiacchiere in allegria.
Niente d'impegnativo, nessuna amicizia profonda.
Solo risate, un caffè, un clima disteso.
Alla fine è quello di cui sentivo il bisogno.