La giornata volgeva al termine.
Calda, umida, appiccicosa. Un tormento.
Anche la notte si preannunciava dolorosa ed asfissiante.
Però dopo esser tornata a casa, aver fatto una doccia fresca, lasciato che i riccioli ricadessero leggeri sulle spalle nude, improvvisamente un po' d'aria ha investito il terrazzo.
E allora mi sono seduta lì, ho visto il sole scendere veloce, andare a nascondersi rossastro dietro i palazzi. Ed il cielo era ancora azzurro e rosa, velato di scie arancioni che lo rendevano magico. Qualche aereo sporadico e lontano, i gabbiani che volavano bassi.
Quel momento semplice, durato appena dieci minuti, mi è sembrato di una bellezza incredibile.
Ho scattato tre fotografie. Simili, diverse. Volevo fissare quell'attimo, lasciarmelo in tasca per un po', aspettare di poterlo riassaporare più tardi.
E' stata una buona domenica, nonostante i quaranta gradi.
Un po' più leggera del solito, meno impegnativa, meno stressante.
Una domenica in cui sebbene la notte fosse trascorsa in modo indegno, mi sono alzata serena, quando volevo e non quando dovevo, ho preparato una colazione frugale consumata in silenzio, ho assaporato la vista di una via deserta e tranquilla.
Non i soliti schiamazzi, i bambini urlanti, i cani arrabbiati.
Sentivo di esserci solo io e quella solitudine mi era cara e preziosa.
Forse davvero chi sta così bene in compagnia di sé stesso può star bene con gli altri solo nel caso di incontri perfetti, di anime affini, di una canzone di cui entrambi conoscano le parole.
Qualcuno che parli la tua lingua, che ti comprenda e che anche tu sappia comprendere.
E chissà se mi sono mai davvero sforzata di capirli, gli altri, o mi sono sempre limitata ad alzare le spalle quando erano loro a non capire me.