lunedì 29 luglio 2024

Istanti



La giornata volgeva al termine.
Calda, umida, appiccicosa. Un tormento.
Anche la notte si preannunciava dolorosa ed asfissiante.
Però dopo esser tornata a casa, aver fatto una doccia fresca, lasciato che i riccioli ricadessero leggeri sulle spalle nude, improvvisamente un po' d'aria ha investito il terrazzo.
E allora mi sono seduta lì, ho visto il sole scendere veloce, andare a nascondersi rossastro dietro i palazzi. Ed il cielo era ancora azzurro e rosa, velato di scie arancioni che lo rendevano magico. Qualche aereo sporadico e lontano, i gabbiani che volavano bassi.
Quel momento semplice, durato appena dieci minuti, mi è sembrato di una bellezza incredibile.
Ho scattato tre fotografie. Simili, diverse. Volevo fissare quell'attimo, lasciarmelo in tasca per un po', aspettare di poterlo riassaporare più tardi.

E' stata una buona domenica, nonostante i quaranta gradi.
Un po' più leggera del solito, meno impegnativa, meno stressante.
Una domenica in cui sebbene la notte fosse trascorsa in modo indegno, mi sono alzata serena, quando volevo e non quando dovevo, ho preparato una colazione frugale consumata in silenzio, ho assaporato la vista di una via deserta e tranquilla.
Non i soliti schiamazzi, i bambini urlanti, i cani arrabbiati.
Sentivo di esserci solo io e quella solitudine mi era cara e preziosa.

Forse davvero chi sta così bene in compagnia di sé stesso può star bene con gli altri solo nel caso di incontri perfetti, di anime affini, di una canzone di cui entrambi conoscano le parole.
Qualcuno che parli la tua lingua, che ti comprenda e che anche tu sappia comprendere.
E chissà se mi sono mai davvero sforzata di capirli, gli altri, o mi sono sempre limitata ad alzare le spalle quando erano loro a non capire me. 

venerdì 26 luglio 2024

Il Florido Giardino



Ho perso la fluidità nello scrivere che mi ha contraddistinta da bambina fino ad un certo pezzo della mia vita.
Ed era bello averla qui con me, rassicurante. Una coperta, un rifugio, l'attimo di quiete nel quale poter rientrare quando il mondo fuori strillava troppo. 
Solo che le caratteristiche, le cosiddette qualità, non sono sempre offerte in dote dalla nascita alla fine dei nostri giorni. Le abilità vanno allenate, attraversate, ascoltate. Non accettano di venire dimenticate in un angolo come un oggetto vecchio, un maglione informe. Vogliono che le si utilizzi. Ed è così che, dopo anni a scrivere anche nei minuscoli pezzi di carta trovati in giro, l'attimo in cui ho smesso di farlo é stato fatale. L'inizio della fine, potremmo dire. Quello in cui la dote, se di talento davvero si trattava, ha preferito sgusciare fuori, indebolita e stanca, piuttosto che marcirmi dentro.

E la capisco, altroché. Chi meglio di me può farlo? Lo avrei fatto anche io, al posto suo. Perché restare dove non ci sente più amati, dove il paesaggio muta passando da un florido giardino a una desertica distesa di sabbia?
E non è che me ne sia accorta oggi. Non è che sia rientrata in casa e improvvisamente abbia trovato gli armadi vuoti e le valigie sparite. Lo so da tempo, che non c'era più. L'ho vista uscire dal portone principale, mica dalla finestra come una ladra.
L'ho vista uscire e non l'ho trattenuta, sapevo che aveva ragione, che mi ero inaridita o spenta, che tutti quei manicaretti con cui la nutrivo giornalmente erano quasi del tutto spariti.
Potrei riaverla un giorno, chissà. Mi dico che in fondo può succedere di riacquistare un'abilità dopo averla persa. 
Ma so che non è questo, per me, il momento di lottare per lei. Non è il momento di fingere una partecipazione che non sento. Voglio sentirmi libera di poter perdere, anche. Di non essere sempre sul pezzo, efficiente, dotata. La figlia brava che si impegna.

Per me va bene così. Sul serio.
Che quella fluidità, in fondo, non è che mi abbia mai fatto scalare chissà che vetta. 
Però qualche volta mi ha fatto sentire importante e le sono tuttora riconoscente.

mercoledì 24 luglio 2024

Giace




Giace abbandonato da un po' questo spazio.
Eppure io l'ho frequentato, ci sono entrata spesso, ho letto qualche vecchio pezzo, provato a scrivere qualcosa di nuovo che ogni volta ho cancellato come si fa con i fogli che non appagano: li si strappa di netto e li si butta via.
Toppo presa da tutte quelle cose della vita che mi tirano da una parte all'altra senza lasciarmi poi molte vie di respiro. E si, ammetto di essere stanca, ammetto di aver bisogno di andare in ferie, staccare la spina, chiudere fuori dalla porta le persone che vedo ogni giorno, gli oggetti che tocco di continuo, le azioni che ripeto incessantemente, i buonasera che offro al prossimo centinaia di volte al giorno.
Devo chiudere fuori tutto o chiudermi fuori io stessa, tuttavia andarmene da qualche parte e lasciare che il mondo qui proceda anche senza di me.
Ma il tempo sembra scorrere lento e questa spina sembra sempre più dura da estrarre dal muro, quasi come una spada nella roccia. E allora attendo, vivo, corro, inciampo, mi procuro le solite mille ferite che ormai fanno parte di me da quando ho memoria, parlo il meno possibile che di voglia ne ho sempre meno.
E arriverà prima o poi questo tempo più lieve, l'agognano riposo, i ritmi più lenti, le notti più lunghe.
Arriverà come arriva sempre, grazie al cielo, ma intanto è un po' dura e non mi vergogno di dire che in tanti momenti scapperei senza farmi neanche trovare più.

domenica 14 luglio 2024

Sul Dondolo



Mi manca vedere Giovanni sul dondolo assopirsi piano mentre attende che io passi lì davanti.
Mi manca vederlo scattare in piedi col sorriso sulle labbra quando lo saluto allegra. 
Cerco di convincermi del fatto che tornerà presto dall'ospedale e so che potrei percorrere una qualsiasi delle altre viuzze che conducono a casa o a lavoro, tuttavia non riesco a non passare di lì, osservare quel posto vuoto, sospirare e andare avanti. Credo sia il mio modo di salutarlo, anche se adesso non c'è.
Sono passate due settimane da quando è rinchiuso lì, forse anche qualche giorno in più. Provo una forte nostalgia che non so raccontare ad anima viva, non la so spiegare. Sento che è presente e basta, che se ne sta lì a dolermi tra le costole, che la coltivo allo stesso modo della speranza che torni presto.
Abbiamo ancora molte cose da fare insieme io e lui. Le nostre chiacchiere, i nostri sorrisi spontanei, le rose, i limoni. E le tartarughe che dobbiamo veder nascere.

Stanno costruendo un circo qui davanti.
Hanno iniziato con le travi e ora cercano di tirar su l'enorme tendone. Intravedo una ventina di uomini ma forse ce ne sono altri là dietro. É un lavoro immenso, che dura ore, e che sarà davvero finito solo il giorno del debutto, fra poco meno di una settimana.
Ricordo che da bambina l'arrivo di un circo nel mio paese era sempre una festa e che alcuni di quei figli venivano a scuola con noi, anche solo per quindici giorni. Erano tipi affascinanti, con i capelli lunghi e accenti diversi dal nostro, mi capitava di immaginare le loro vite nelle carovane o accanto a quelle bestie feroci che vedevo solo in tv o allo zoo. Ricordo di averle temute, seduta su quegli spalti duri. Ho avuto sempre la sensazione che potessero scappare e farmi del male, sensazione che non mi abbandonava veramente fin quando l'intero spettacolo non era concluso.
Certo non avevamo poi molto, noi, li in mezzo alla campagna. E allora il circo sembrava chissà cosa, la novità che non ti potevi proprio perdere, l'esibizione a cui sottoporsi necessariamente così da poterne poi parlare il giorno dopo con gli amichetti. 
Alcune di quelle persone saranno miei clienti per un po'. Magari parlerò con loro, rideremo insieme, mi farò raccontare qualche aneddoto particolare. Poi se ne andranno via, come ogni anno, e sarà come se non ci fossimo mai conosciuti.

Però quand'è che torna Giovanni?