Improvvisamente la musica si è spenta e non ha voluto saperne di ripartire.
Sembrava tutto a posto, eppure non funzionava più.
Dunque ho tolto le cuffie, messo via il telefono.
E ho dovuto gironzolare per il mondo sentendo i rumori che avevo intorno.
Non avevo più modo di isolarmi, di mettere una barriera tra me e quello che accadeva al di fuori.
E allora sentivo le foglie scricchiolare sotto i piedi.
Il traffico delle strade.
I clacson.
Gente che gridava da qualche parte.
Gli operai nei cantieri.
I frullini, i martelli, le scarpe sui ponteggi.
Dovevo essere presente, dopotutto.
Esserci con tutti e cinque i sensi e non solo quelli che decidevo di utilizzare.
Mi sono fermata ad osservare le luci natalizie nei giardini, ieri sera.
Il tramonto si era già dissolto, il grigio delle strade si confondeva con quello del cielo.
E tutt'intorno facciate illuminate, alberi le cui foglie erano state sostituite da fili luminosi. Finestre dietro le quali immaginavo vite che non conoscevo, bambini che aspettavano già dei regali imminenti.
Avrei voluto anche io un lungo filo di luci a costeggiare il mio intero terrazzo.
E vetrofanie innevate da attaccare in ogni stanza.
E un albero molto più alto di quello che ho potuto concedermi.
E altri pupazzi sulle scale, sui mobili. Gnomi, babbi, folletti.
E altre tazze per il tè oltre le molte che ho già.
E altri cuscini rossi e bianchi.
E altri fili argentei.
E nuovi peluche.
E poi, non so. Non so perché mi sia preso così, quest'anno.
Tutto questo bisogno di artifizi che mi facciano sentire un po' di calore, dentro, in quel posto sommerso in cui sento freddo.

Quasi da contraltare al post precedente, a rendere partecipe tutto un mondo oltre noi, a fare nostri quei riverberi dai balconi, quelle lucine intermittenti, pupazzi e folletti finalmente a darsi un tono, prima di tornare a sbirciare da una cassapanca socchiusa.
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