Il profumo delle arance mi esplodeva tra le mani, al contrario del sole che via via si faceva più tiepido ed insicuro. Ero lì con papà a raccoglierne a secchi, noi due da soli, immersi in una natura rigogliosa e ancora verde che ci faceva da cornice. Ogni tanto scambiavamo una parola, il mio cuore traboccante di gioia nel vederlo indossare la sua vecchia divisa da lavoro mentre si impegnava in quella cosa lì.
Una domenica soleggiata, non propriamente calda ma quantomeno mite.
Al mattino eravamo in tre a passeggiare tra il foliage autunnale della strada in salita e i solchi pieni di ghiande cadute nel querceto. Avevo tentato a lungo di fare amicizia con un gattino piombato all'improvviso nel giardino dei miei, ma del tutto invano.
Eppure secondo mia madre stamattina è lì che mi cerca sotto il balcone come Romeo con Giulietta. Ed io che ormai sono a chilometri di distanza posso solo alzare le spalle.
Il tramonto l'ho guardato nel paese accanto, dopo esser passata tra i vicoli della parte vecchia del mio.
Nel punto più alto l'ho visto emanare tutta la sua forza rossastra, accarezzare il cielo e dipingere le nuvole. Tutt'intorno una pace surreale ancora presente solo in certe realtà così poco vissute.
Il monte Soratte svettava di fronte ai miei occhi, così familiare, così lontano nella maggior parte dei miei giorni. Ed era tutto così bello, così incredibilmente forte, da farmi sentire una malinconia dolorosa che poi mi ha accompagnato durante tutto il viaggio di ritorno.
Era ormai notte, il traffico era tornato a sbattermi addosso la realtà di una vita molto meno quieta. Le luci rosse e quelle gialle delle auto avevano sostituito i colori della natura e la musica all'orecchio il silenzio di poco prima. Buio ovunque, i rumori dell'autostrada e del raccordo.
Tra le costole la nostalgia struggente di ogni volta che cala la sera.
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