Le piastrelle del pronto soccorso erano di un bianco lucido e innaturale. Rettangolari e ampie.
Le ho osservate così a lungo che avrei potuto anche mettermi a contarle.
Il tempo sembrava dilatarsi infido e sebbene mi dicessero di star seduta, non riuscivo a farlo se non per pochi istanti. Poi mi alzavo di nuovo, fissavo le sedie, il pavimento, quella porta che si apriva solo in entrata. E tu che non uscivi mai.
Mi parlavano ma rispondevo a monosillabi, non è che avessi molto da dire.
Avrei solo voluto che la domenica mattina andasse in modo diverso, come l'avevamo progettata.
Mia madre mi scriveva spesso, era in ansia per te. A lei rispondevo perché almeno non dovevo aprire la bocca e udire il suono della mia voce. Temevo che avessi freddo, così come eri entrato.
Io ne avevo, ma quantomeno ero più coperta di te. Uscivo un po' al sole ma c'era vento. Allora rientravo e ritrovavo quelle brutte piastrelle bianche lucide e lunghe.
Fissavo il monitor dei codici, mi sono accorta subito che ti stavano dimettendo quando le tue iniziali sono improvvisamente scomparse.
Vederti sorridere è stato un sollievo, forse in quel momento ho ripreso persino a respirare.
Ma a parlare no, ho impiegato una mezza giornata in più. Per ore mi sono sentita sbattuta come se su quella barella fredda ci fossi rimasta io.
Le attese fuori dal pronto soccorso sono lunghe... spero vada meglio.
RispondiEliminaUn abbraccio, N.
Adesso si, lo spavento quantomeno è passato. Un abbraccio.
EliminaÈ una sensazione terribile, quella dolorosa dell'attesa. La consapevolezza di non poter far nulla, nemmeno poter stringere quelle mani che mancano e che vorresti tenere strette per comunicare la presenza e l'amore. Ma per fortuna, quando finisce e la persona cara torna e sorride, svanisce quel dolore, quella paura. Felice che sia passata. Un abbraccio grande.
RispondiEliminaL'importante è che sia passata, si.
EliminaPerò quelle emozioni le dovevo scrivere o sarebbero rimaste lì dentro a far male. Un abbraccio a te.
Purtroppo sto collezionando un numero impressionante di attese snervanti nei Pronto Soccorso. Il tempo passa ma contemporaneamente si ferma, ti da la possibilità di pensare a tutto ciò che di brutto puoi collezionare, vedi la sofferenza ammucchiata in una stanza, ti rendi conto che quel personale di servizio è come in un girone infernale e sai che un lavoro così ti distruggerebbe al primo giorno.. ma intanto, passano le ore e ti accontenti della tua personale distruzione e a quella di chi non ti fanno vedere, al di là del muro..
RispondiEliminaHai ragione su tutto.
EliminaMa soprattutto mi dispiace che di queste giornate voi ne stiate collezionando tante. Vi abbraccio.
quelle piastrelle bianche sono il dettaglio, di per sè insignificante, che simboleggia l'angoscia dell'attesa.
RispondiEliminaottima narrazione che rende universale questa tua spiacevole esperienza.
massimolegnani
(orearovescio.wp)
Ci si aggrappa a qualcosa, in quei momenti.
EliminaGrazie, contenta che ti sia piaciuta.
Ciao, Katrina, è la prima volta che visito il tuo blog.
RispondiEliminaQuelle snervanti attese al pronto soccorso sono micidiali. Credo che moriamo un po’, una parte di noi muore in quegli ambienti sterili che fanno tanto spazio alla paura, alla speranza. Ma quella è un’attesa che divora.
Ciao, seguirò il tuo blog con piacere.
Ciao, ci conosciamo già in realtà, speravo mi riconoscessi senza doverti dire il mio nickname passato. Forse leggendo il post precedente comprenderai. Non so come contattarti in altro modo. Un abbraccio
EliminaPosso solo dirti che quel tuo sollievo su quel sorriso ha fatto terminare la mia apnea mentre ti leggevo con grande timore
RispondiEliminaGrazie Daniele :)
EliminaE' stato un gran sollievo in quel momento vederlo sorridere.
Beautiful blog
RispondiEliminaPlease read my post
RispondiEliminacaspiterina Rsjani Rehana ti ha già scovata pure qua, sul nuovo blogghe
RispondiEliminaBeh, facile. Lei se li fa tutti, indistintamente.
EliminaEmozioni forti che rimango dentro. Difficili da dimenticare. Momenti di un tempo buio che dovremmo pian piano colorare con il sorriso.
RispondiEliminaMaurizio